Attraverso i Vangeli apocrifi, scelti come traccia da seguire per elaborare la
trama del disco, emerge la vocazione umana e terrena, quindi provocatoria e
rivoluzionaria della figura storica di Gesù di Nazareth, già descritta da De Andrè nel
1967 in "Si chiamava Gesù". In questo album la figura di Cristo è narrata attraverso
quella dei personaggi che hanno a che fare con lui e la sua storia, mentre appare
direttamente come protagonista solo nella canzone "Via della Croce".
La narrazione, introdotta da un "Laudate Dominum", inizia raccontando
"L'infanzia di Maria": la piccola Maria vive un'infanzia difficile segregata nel
tempio ("dicono fosse un angelo a raccontarti le ore, a misurarti il tempo fra cibo e
Signore"); l'impurità delle prime mestruazioni ("ma per i sacerdoti fu colpa il tuo
maggio, la tua verginità che si tingeva di rosso") provocò il suo allontanamento e la
scelta forzata di uno sposo; il matrimonio avviene con un uomo buono ma vecchio, il
falegname Giuseppe ("la diedero in sposa a dita troppo secche per chiudersi su una
rosa") che la sposa per dovere e la deve poi lasciare per quattro anni per lavoro. Ne
"Il ritorno di Giuseppe" si può cogliere la fatica della vita di Giuseppe; nel suo
ritorno a casa porta una bambola per Maria, e la trova implorante affetto e attenzione.
"Il sogno di Maria" riporta la scena nel tempio. In un sogno l'angelo che usava farle
visita la porta in volo lontano "là dove il giorno si perde"; lì le dà la notizia della
futura nascita di un bimbo; il testo allude ad un concepimento più terreno di quello
raccontato dai vangeli canonici. Al risveglio Maria capisce di essere incinta ("parole
confuse nella mia mente, svanite in un sogno ma impresse nel ventre") e si scioglie in
pianto.
La maternità inaspettata ("ave alle donne come te Maria, femmine un giorno e
poi madri per sempre"), si esprime in "Ave Maria", un omaggio alla donna nel
momento del concepimento. Dalla letizia che traspare in "Ave Maria" il passaggio a
"Maria nella bottega d'un falegname" è drastico: il ritmo dato dalla pialla e dal
martello scandiscono il dolore straziante del falegname che costruisce la croce ("tre
croci, due per chi disertò per rubare, la più grande per chi guerra insegnò a
disertare") con la quale il figlio di Maria ed i due ladroni verranno crocifissi. "Via
della croce" è una delle canzoni in cui De André lascia trasparire i suoi pensieri e i
suoi sentimenti anarchici: "il potere vestito d'umana sembianza ormai ti considera
morto abbastanza". Infine, sotto la croce stessa: "non fossi stato figlio di Dio t'avrei
ancora per figlio mio" dice la madre al figlio. Questo aspetto è completamente
trascurato dai Vangeli canonici. Non appena i tre condannati vengono crocifissi, le
loro rispettive "Tre Madri" stanno adagiate sotto le croci per confortarli. Le due
donne dicono a Maria che non ha alcuna ragione di piangere così "forte", dal
momento che sa che suo figlio, al contrario dei loro, "alla vita, nel terzo giorno, […]
farà ritorno". La canzone si conclude con le parole di Maria che spiegano il motivo
della sua tristezza: "non fossi stato figlio di Dio, t'avrei ancora per figlio mio". Ne
"Il testamento di Tito" vengono invece elencati i dieci comandamenti, analizzati
dall'inedito punto di vista di Tito, il ladrone pentito crocifisso accanto a Gesù; i nomi
dei ladroni variano da vangelo a vangelo (Dimaco/Gesta Tito/Disma): Tito è il
ladrone buono nel vangelo arabo dell'infanzia (l'altro è chiamato Dimaco). Per
quanto riguarda la musica, la prima strofa incomincia semplicemente con la voce ed
un leggero accompagnamento con la chitarra, crescendo sempre più in strumenti e
accompagnamenti fino all'ultima strofa. L'opera termina con una sorta di canto
liturgico ("Laudate hominem") che incita a lodare l'uomo, e non in quanto figlio di
Dio, ma in quanto figlio di un altro uomo, quindi fratello.